Durante la settimana santa, e precisamente dal mercoledi al venerdi santo, a San Fratello nei Nebrodi messinesi, si ha un esempio di particolare unione tra sacro e profano. Qui si ha anche l’unione del dolore per la perdita del Cristo e della fastosità tipica del carnevale.
Una miriade di contadini e pastori sanfratellani si traveste con lo sgargiante costume tradizionale formato da giubba e calzoni di mussola rossa e da strisce di stoffa gialle, impreziositi con motivi floreali e ricami, specialmente nella giubba, ornamenti che ricordano le antiche tradizioni della cultura araba.
Il volto è coperto da cappuccio rosso (“sbirrijan” in lingua gallo-italica), caratterizzato da una lunga lingua di stoffa con una croce ricamata sulla punta, in riferimento al carattere menzognero diabolico. Essi infatti si immedesimano nei personaggi in una trasgressione che irride al carattere sacro ed austero della Passione di Cristo. Altri elementi della maschera rendono l’aspetto del personaggio piuttosto singolare: pelle lucida con lingua, sopracciglia lunghe e arcuate, scarpe di cuoio grezzo e di stoffa (“schierpi d’piau” in lingua locale).
I costumi ricordano in parte quelli dei soldati romani che flagellarono Gesù, sono di proprietà delle famiglie del posto e vengono tramandati da padre in figlio. I sanfratellani così vestititi girano per il paese suonando con particolari trombe per festeggiare la morte di Gesù Cristo e disturbare la processione religiosa che commemora la Passione di Gesù. Il contrasto ha il suo punto cruciale il venerdì santo, quando il corteo che segue il Crocifisso è disturbato ed interrotto nel suo cammino dall’arrivo festoso dei giudei.