Cariddi (in greco Χάρυβδις) nella mitologia greca è un mostro marino. In principio, Cariddi era una naiade, figlia di Poseidone e Gea, dedita alle rapine e famosa per la sua voracità. Un giorno rubò ad Eracle i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni. Allora Zeus la fulminò facendola cadere in mare, dove la mutò in un gigantesco mostro simile ad una lampreda, che formava un vortice marino con la sua immensa bocca, capace di inghiottire le navi di passaggio.
La leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all’antro del mostro Scilla. Le navi che imboccavano lo stretto erano costrette a passare vicino ad uno dei due mostri.
In quel tratto di mare i vortici sono causati dall’incontro delle correnti marine, ma non sono di entità rilevanti.
Secondo il mito, gli Argonauti riuscirono a scampare al pericolo, rappresentato dai due mostri, perché guidati da Teti madre di Achille, una delle Nereidi.
Cariddi è menzionata anche nel canto XII dell’Odissea di Omero, in cui si narra che Ulisse preferì affrontare Scilla, per paura di perdere la nave passando vicino al gorgo.
Secondo alcuni studiosi, la collocazione del mito di Scilla e Cariddi presso lo stretto di Messina sarebbe dovuta ad un’errata interpretazione: l’origine della storia potrebbe in realtà avere avuto luogo presso Capo Skilla, nel nord ovest della Grecia.
Oggi Cariddi è collocabile sulla punta messinese della Sicilia, a Capo Peloro.
“Il fianco destro di Scilla, il sinistro Cariddi implacabile tiene, e nel profondo baratro tre volte risucchia l’acqua, che a precipizio sprofondano, e ancora nell’aria con moto alternale scaglia, frusta le stelle con l’onda”
(Virgilio Eneide III 420-23)
Lo Stretto di Messina, l’antico Fretum Siculum, è largo Km.3 circa, a Nord fra Capo Peloro e Torre Cavallo, e Km. 16 circa, a Sud fra Capo d’Alì e la Punta Pèllaro in Calabria.
La collocazione geografica e l’ecosistema complessivo (acque, correnti, venti, caratteristiche geomorfologiche, presenze faunistiche, ricchezze botaniche e naturalistiche) fanno di questa terra un luogo assolutamente unico.
Nel corso dei secoli ha ospitato culture, presenze, identità antropologiche, tradizioni popolari, miti, tutti indissolubilmente connessi alle caratteristiche geografiche e morfologiche dei luoghi, producendo una ricchezza di espressioni e una fusione di elementi tali da rendere questo sito un simbolo stesso della storia dell’umanita’.
Non e’ un caso se il nome assunto dal versante siculo dello stretto (Peloro) deriva dal termine greco antico che qualifica esseri, animati e non, “fuori dal comune”, nei quali e’ presente del prodigioso, ma sovente anche del mostruoso, al contempo.
Un termine associato al nome di divinità guerriere come Ares, impegnate in lavori sovrumani come Efesto, eroi eccezionali quali Eracle, Achille, Aiace, o creature gigantesche e dalla forza prodigiosa, come Orione, o gigantesche e mostruose come il ciclope Polifemo, e ancora associato al nome di mostri marini che nella tradizione hanno proprio nell’area dello Stretto la loro sede, come l’immane e terribile Scilla.
Questo articolato quadro di unicità risulta dalla convergenza di elementi di varia natura, relativi alle origini, alla storia, alla cultura dell’area dello Stretto, visto come straordinario insieme di elementi che provengono dalle scienze naturali e naturalistiche, dall’urbanistica, dalla storia dell’arte, dall’antropologia e dall’etnografia, dalla attività affabulatoria esercitata negli ultimi diecimila anni intorno a tale sito.
Memorie e suggestioni mitologiche e letterarie (da Omero a Horcynus Orca), tradizioni marinare, emergenze archeologiche, storiche, architettoniche, oceanografiche, paesaggistiche: ecco l’articolato palinsesto culturale e ambientale che rende questo territorio un unicum di cui occorre garantire la tutela, la persistenza e la salvaguardia finalizzate a una fruizione dei luoghi e del sapere che essi ospitano, a beneficio dell’intera umanità.