Tessere relazioni, condividere, entrare empaticamente nella vita dell’altro: quanti orizzonti è capace d’intravedere chi opera nel mondo dell’informazione, raccontando quotidianamente fatti e persone con la loro dignità, che ha sempre il diritto di essere rispettata, entrando nel cuore della notizia in maniera oggettiva? In occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebra l’1 giugno, all’interno del cammino indicato per l’anno giubilare in corso, i giornalisti e gli operatori delle comunicazioni sociali messinesi si sono interrogati sul valore della comunicazione “luogo” di speranza. A guidare la riflessione nel Salone degli Specchi di Palazzo dei Leoni, il direttore responsabile di Gazzetta del Sud Nino Rizzo Nervo, il quale prendendo spunto dall’opera del cardinale Carlo Maria Martini “Il lembo del mantello”, un’opera fondamentale per giornalisti credenti e non, si è soffermato sui principi di libertà, responsabilità e etica della professione giornalistica. Si tratta di un testo che, ha detto, “ha avuto anche il merito di rompere la diffidenza della Chiesa per il mondo dei mass media che in quegli anni era probabilmente considerato estraneo all'azione pastorale. Non a caso il libro si conclude con una preghiera che, parafrasando il Cantico delle Creature di San Francesco, si rivolge a Fratello televisore, Sorella radio e Fratello giornale”. “Chi lo ha letto – prosegue Rizzo Nervo – ricorderà che prende spunto da un episodio della vita di Gesù raccontato nel Vangelo
di Marco. Gesù è pressato dalla folla da ogni parte. A un certo punto si sente toccare.
Pietro lo contraddice ma Gesù insiste fino a quando si fa avanti una donna malata da anni che, timorosa, confessa che era stata lei perché dice: “Se riuscirò a toccare anche solo il lembo del mantello sarò guarita”. In quel racconto, scrive il cardinale Martini, è tutto: la massa rumorosa e vociante, la persona, la comunicazione. La folla anonima si accalca, spinge, tocca Gesù; poi è la persona, quella donna che timidamente sfiora il lembo del mantello e, infine, è la comunicazione e la salvezza.
Dalla massa è emersa una persona e la sua comunicazione è stata una comunicazione di speranza. “Il lembo del mantello” partendo da un immaginario dialogo con il televisore ci spiega poi che la comunicazione è strumento di crescita, ma soprattutto di relazione. La notizia non è merce, è comunità, è relazione, è dare fiducia ascoltando le ragioni dell’altro, è conoscenza, è cultura. Carlo Maria Martini ci indica dunque una comunicazione che sia rispettosa della realtà e dell’uomo, che sappia essere “lembo del mantello” ovvero strumento di crescita, di speranza. Dobbiamo
però interrogarci su come è possibile che la comunicazione sia luogo di speranza nel tempo in cui viviamo. In un mondo cioè in profonda crisi, pieno di incomprensioni, di odio, di egoismi, attraversato da 56 conflitti in 92 Paesi, il numero più alto dalla seconda guerra mondiale. Se pensiamo all’orrore per la strage insensata e crudele del
7 ottobre, ai 50mila morti (per la maggior parte bambini, donne, anziani) di Gaza, se volgiamo lo sguardo alle immagini delle folle disperate che si accalcano per avere un’ di cibo e di acqua, ai viaggi della speranza e di morte di chi affronta il mare aperto per fuggire dalle guerre, dalle dittature e dalla povertà, alle sofferenze del popolo
ucraino ma anche alle periferie degradate delle nostre città, alle violenze di tutti i giorni, alla solitudine dei tanti emarginati, dobbiamo chiederci se è possibile comunicare ancora la speranza, ma anche, perché il problema è oggi centrale, se è possibile governare la tecnologia e non esserne governati, se è possibile garantire le libertà e interrogarci, infine, su come sia difficile cercare la verità e su come sia facile invece diffondere le falsità.
E ancora, come possiamo comunicare la speranza o comunicare con speranza in un mondo dove la bugia diventa sempre più spesso verità e alimenta l’odio e il rancore attraverso sofisticati algoritmi? Dici una falsità mille volte e diventa verità.
Attenzione, la violenza delle parole on line è violenza reale. Allora, insisto, in questo contesto si può ancora comunicare la speranza? Credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che il male deve essere raccontato. Guai a pensare che il problema possa risolversi col tacere i fatti tragici e dolorosi. Ma la narrazione del male non può essere
l’unica narrazione. Anche quando lo si racconta perché non lo si può nascondere è possibile cogliere segnali di speranza. Penso alla tragedia che ha vissuto questa città con l’uccisione di Sara e che oggi sta vivendo Afragola per il massacro a colpi di pietra di Martina, appena quattordicenne. Ecco, accanto all’orrore di quelle vite spezzate il racconto della reazione della gente, le immagini delle migliaia di fiaccole che hanno invaso le strade di Messina, aver raccolto il dolore e la ribellione dei loro amici ha costruito un racconto di speranza. Dobbiamo quindi insistere affinché si capisca quanto sia importante tessere relazioni, fare rete, essere comunità, quanto sia importante il dialogo, come sia fondamentale condividere le nostre storie, riflettere sul fatto che la comunicazione può essere il collante o il veleno della nostra società.
No, non è possibile non raccontare il male, ma dobbiamo anche essere capaci di cogliere gli elementi di bene che si manifestano attorno a noi.
Se acuiamo la vista, ci accorgeremmo di tanti costruttori di cose buone, positive.
Acuire la vista significa migliorare la capacità di vedere, di distinguere i dettagli, di percepire la luce. Non c’è solo chi uccide e semina odio, chi lavora per contrapporre invece di unire, se sappiamo cercarla c’è anche una moltitudine di persone che si prende cura dell’altro, che non si isola ma costruisce reti, che resiste alle ingiustizie e si batte per la giustizia, che sa affrontare un sacrificio, che non gira lo sguardo dall’altra parte e non si tira indietro.
Allora, ogni tanto cambiamo il nostro punto di vista! Diceva Papa Francesco che informazione che racconta ossessivamente solo il male distrugge la società, ci sottrae la possibilità di vivere e di costruire, ci toglie fiducia e soffoca la speranza. Ma così facendo – aggiungeva – ci ridurremo ad essere seminatori di rabbia, di disperazione, di odio. Invece abbiamo la possibilità di essere seminatori di speranza, costruttori di senso e artefici di cambiamento.
Comunicare la speranza non solo è possibile ma dovrebbe essere il fine del nostro lavoro. Dobbiamo essere guidati dalla consapevolezza che chi fa comunicazione ha una grande responsabilità: lo stesso linguaggio fa la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza e facendo rete crea ponti e una comunicazione che accresce
le divisioni e quei ponti li distrugge. Comunicare la speranza significa fuggire dai luoghi comuni, ricercare la verità e non il consenso. Ricordate le parole pronunciate subito dopo la sua elezione da Papa Leone XIV per una pace “disarmata e disarmante”? Bene, anche la comunicazione deve essere “disarmata”: disarmata dall’odio, dai pregiudizi, dai fanatismi, dalla manipolazione dei fatti ed essere preparata a raccogliere la voce di chi non ha voce, di chi vuole costruire invece di distruggere. Ed è proprio con papa Leone che voglio concludere. Ricevendo i giornalisti accreditati per il Conclave ha voluto sottolineare come i comunicatori svolgano un ruolo prezioso auspicando una comunicazione che “non si rivesta di toni aggressivi”. Anche le parole infatti possono diventare strumenti di conflitto oppure possono aiutare a dialogare, a comprenderci, a darci fiducia, ad accrescere la speranza nel futuro.
Torniamo allora alle parole del cardinale Martini che ci ha ricordato che la “notizia” non è merce, è comunità, è relazione, può diventare “lembo del mantello” cioè strumento di educazione, di progresso e, come è avvenuto per quella donna malata, di salvezza. A introdurre la relazione di Nino Rizzo Nervo, il direttore dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali mons. Giò Tavilla, che ha parlato di quanto “la buona informazione permetta di operare scelte libere”. Al termine dell’incontro i giornalisti sono stati protagonisti del breve pellegrinaggio giubilare fino alla
cattedrale, dove hanno partecipato alla messa celebrata da mons. Tavilla e animata dall’Unione Cattolica Stampa Italiana di Messina presieduta da Laura Simoncini, vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia.