Sinfonia n. 9 in Re minore per soli, coro e orchestra op. 125
Allegro ma non troppo, un poco maestoso
Molto vivace – Presto – Scherzo
Adagio molto e cantabile – Andante moderato – Adagio
Presto allegro assai – Allegro molto – Andante maestoso – Allegro energico
direttore,Matthias Fletzberger
soprano,Liene Kinca
mezzosoprano,Stepanka Pucalkova
tenore,A.J. Glueckert
baritono,Thomas J. Mayer
Coro “F. Cilea”, diretto da Bruno Tirotta
Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele
La Nona Sinfonia in re minore op. 125 di Ludwig van Beethoven, nota come Sinfonia Corale, lo scorso anno ha compiuto duecento anni: fu eseguita, infatti, per la prima volta venerdì 7 maggio 1824 al Teatro di Porta Carinzia a Vienna, riscuotendo un notevole successo. Rappresenta il monumento della musica di ogni tempo e la sublimazione dell’arte del compositore. Dedicata al Re di Prussia, Federico Guglielmo III, venne scritta tra il 1818 e il 1824 quando il musicista era già completamente sordo.
La Sinfonia
Non ancora ventenne, Beethoven frequentava a Bonn l’élite intellettuale e strinse rapporti di amicizia con la famiglia von Breuning; conobbe Eulogius Schneider, grecista, poeta e sostenitore degli ideali della Rivoluzione Francese, e Bartholomäus Ludwig Fischenich, docente di diritto all’Università di Bonn e amico di Friedrich Schiller. Quasi certamente nella stessa università, dove il musicista frequentò i corsi di filosofia, Fischenich gli fece conoscere l’opera di Schiller e l’Ode An die Freude, simbolo degli ideali dei giovani tedeschi. In una lettera del 1793 indirizzata alla moglie di Schiller, Fischenich scrive che già da allora Beethoven desiderava mettere in musica quella poesia. Il progetto non andò in porto, sia per l’improvvisa partenza di Beethoven per Vienna, sia per la censura che si era abbattuta sulle opere di Schiller, ritenute immorali e pericolose. Da tempo Beethoven avrebbe voluto comporre una grande costruzione sinfonico-corale, scrivendo un coro religioso come conclusione della Sinfonia Pastorale. Nel 1811 progetta un’altra sinfonia, dopo la Settima e l’Ottava, ma il progettoresta fermo per un decennio; circa dieci anni più tardi, nel 1822, Beethoven pensa a due differenti lavori sinfonici, il primo in re minore per la Società Filarmonica di Londra, e il secondo, una Sinfonia tedesca, con intervento corale su un testo tedesco ancora da decidere. Nel 1823 i due progetti si fondono in un unico grande quadro musicale: nel febbraio del 1824, dopo una lunga maturazione e con l’inserimento dell’ode An die freude, la Nona sinfonia è terminata. Con questa sinfonia, formata da quattro movimenti, Beethoven operò una rivoluzione nel mondo musicale, mettendo in crisi il concetto stesso di sinfonia: la Nona è una monumentale costruzione sonora nella quale convivono generi musicali altri, quali la scrittura polifonica tipica della musica sacra, lo stile operistico, la musica militare. Elementi differenti che creano un organismo unico e compatto, costruito su colorazioni timbriche, finezze ritmico-metriche, incessanti spinte dinamiche che infondono un vigore interminabile all’intera architettura musicale.
Nell’Allegro ma non troppo, un poco maestoso (I movimento), Beethoven dilata la struttura e l’abituale tensione del bitematismo della forma-sonata scompare, lasciando il posto a relazioni più articolate.
Da una figura ritmica composta da tre note, si genera il Molto vivace (II movimento) in re minore che ha una forza dirompente, una figurazione ritmica ossessiva e segni dinamici «f» (forte) diffusi ovunque.
Il terzo movimento, Adagio molto e cantabile, presenta l’alternanza fra un primo tema in si bemolle maggiore (Adagio molto e cantabile) e un secondo in re maggiore (Andante moderato), entrambi di ampio respiro. Una coda chiude questa splendida pagina musicale dall’atmosfera trascendentale.
Giorgio Pestelli scrive che, a conclusione dell’ascolto della Nona, «si resta frastornati», avendo la sensazione di essere stati in uno spazio dove si è pronunciato un giuramento: «ci sembra di avere la forza e il coraggio per essere fedeli alle promesse».
Il quarto movimento e la Freudenmelodie
Nessuno prima di Beethoven aveva inserito quattro voci soliste e un coro di voci miste con il compito di chiudere una robusta composizione sinfonica. Includere le parole di un componimento di Schiller significava porre l’attenzione su contenuti ideologici che palesavano gli ideali morali che sostenevano Beethoven: aspirare alla fratellanza universale, andare oltre la sofferenza in nome di una superiore Armonia del Cosmo e anelare all’Assoluto.
Scrivendo in un periodo della storia nel quale gli ideali liberali erano stati compromessi dalle monarchie dopo la Restaurazione del Congresso di Vienna, Beethoven quasi certamente ha voluto comunicare un messaggio per lui importante, affermando Alle Menschen werden Brüder (‘tutti gli uomini saranno fratelli’). Nel mettere in musica l’Ode di Schiller, Beethoven utilizzò solo una parte delle strofe, e precisamente nove, quelle «dove il sistema ideale schilleriano più intensamente evoca la Gioia, scintilla divina» (Carli Ballola 2020:7).
Secondo Massimo Mila, l’obiettivo nascosto di Beethoven era quello di celebrare non la Freude (gioia), bensì la Freiheit (libertà), ipotesi questa avvalorata dall’annotazione, in un quaderno del 1812, di un verso dell’Ode di Schiller nel quale Beethoven intendeva mettere in musica Bettler werden Fürstenbrüder: ‘i mendicanti saranno fratelli di principi’, che poi divenne il più generico Alle Menschen werden Brüder: ‘tutti gli uomini saranno fratelli’ (Mattietti).
Il quarto movimento lancia un messaggio di libertà e di fratellanza universale; dopo un’introduzione strumentale, si ode la melodia della Gioia che nasce silenziosamente dagli archi e man mano si espande in tutta l’orchestra. La voce del baritono si fa sentire nella sua potenza («O Freunde, nicht diese Töne!/ Sondern lasst uns angenehmere anstimmen/ Und freudenvollere!»; ‘Amici non questi suoni! / Ma intoniamo canti più graditi/ e pieni di gioia’) e chiama il coro ad unirsi a lui. Dopo le variazioni, arriva un momento di raccoglimento nel quale i versi di Schiller esortano gli uomini all’unità, «Seid umschlungen», e Beethoven, riprendendo antiche armonie ispirate ad inni liturgici, declama le parole dell’Ode.
Rimaneggiando il testo di Schiller, Beethoven ci pone davanti alla luce intensa della gioia, intesa come madre («Freude trinken alle Wesen / An den Brüsten der Natur»; ‘Tutte le creature suggono gioia / dal seno della Natura’) che avvolge l’umanità («Alle Menschen werden Brüder / Wo dein sanfter Flügel weilt»; ‘ogni uomo diventa un fratello / là dove posa la tua dolce ala’), preparandola all’unione con il Padre («Brüder, über’m Sternenzelt / Muss ein lieber Vater wohnen»; ‘fratelli sopra la volta stellata/ deve dimorare un caro Padre’).
Ci avviamo alla conclusione: i solisti si alternano all’insieme corale, e momenti animati da esultanza s’allentano lasciando il posto a momenti di sognante solennità e contemplazione. Dopo un improvviso blocco su una cadenza, le voci sfociano nel Prestissimo, che tumultuosamente ci conduce alle note conclusive dell’orchestra, riaffermando la vittoria della gioia nel luminoso re maggiore del tema.
In una lettera del 1815, indirizzata alla contessa Erdödy, Beethoven scriverà: «Noi, esseri finiti, personificazioni di uno spirito infinito, siamo nati per avere insieme gioie e dolori; e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza».